di Arianna Tarquini
Anche chiamata anemia mediterranea o malattia di Cooley o beta talassemia oppure talassemia major: tutti termini diversi per indicare la stessa malattia, ovvero una grave forma di anemia emolitica, ossia la malattia dei globuli rossi carenti di emoglobina, esposti a una continua e rapida distruzione. La talassemia è nota appunto anche come anemia mediterranea a causa della distribuzione geografica, dati che si verifica più spesso nelle persone di origine italiana, greca, medio-orientale, sud-asiatica ed africana. La causa principale della talassemia è rappresentata dalla presenza di difetti nei geni dell’emoglobina, a livello del dna. L’unico modo per contrarre la talassemia è ereditare uno o più geni di emoglobina difettosi dai propri genitori. Si tratta dunque di una malattia ereditaria, trasmessa quando entrambi i genitori sono portatori del difetto (peraltro completamente sani). Ad oggi è possibile una diagnosi prenatale precoce per scoprire se il feto è affetto da anemia mediterranea con un semplice test chiamato celocentesi.
Nel dettaglio, vediamo i due tipi principali di talassemia, alfa e beta, dal nome delle due catene proteiche dell’emoglobina che possono essere affette dall’errore genetico. Diversi studi hanno dimostrato che in Africa è più diffusa l’alfa talassemia, mentre nel bacino del Mediterraneo è più diffusa la beta talassemia. L’alfa talassemia è costituita da quattro geni coinvolti nella sintesi della catena alfa dell’emoglobina e di questi se ne ottengono due da ciascun genitore. Se uno o più geni alfa dell’emoglobina sono difettosi allora si sviluppa l’alfa-talassemia. Se uno solo dei geni alfa dell’emoglobina è difettoso, non si hanno segni o sintomi di talassemia, ma si è comunque portatori della malattia e la si può trasmettere ai propri figli. Se si dispone di due geni alfa dell’emoglobina difettosi, i segni ed i sintomi della talassemia sono lievi. Questo caso può essere diagnosticato come alfa-talassemia minore e si può dire che si ha un solo tratto della malattia. Se tre dei geni alfa dell’emoglobina sono difettosi, i segni ed i sintomi della malattia possono essere da lievi a gravi. Questa condizione è anche chiamata malattia H dell’emoglobina. Quando tutti e quattro i geni alfa dell’emoglobina sono difettosi si parla di alfa-talassemia maggiore o idrope fetale. Generalmente ciò determina la morte del feto prima del parto o subito dopo la nascita.
Per quanto concerne la beta talassemia invece sono coinvolti due geni nella sintesi della catena beta dell’emoglobina e se ne ottiene uno da ciascun genitore, se uno o entrambi i geni sono difettosi si sviluppa la beta-talassemia. Se uno solo dei geni beta dell’emoglobina è difettoso si avvertono segni e sintomi lievi della malattia. In tal caso si parla di beta-talassemia minore o ci si riferisce ad essa come ad un tratto della beta-talassemia. Se entrambi i geni beta dell’emoglobina sono difettosi, allora i segni ed i sintomi della malattia possono essere da moderati a gravi. In questo caso si parla di beta-talassemia maggiore o di anemia di Cooley.
In un caso o nell’altro, chi è colpito da talassemia è costretto a dipendere da trasfusioni di sangue continue. Forse tutto questo potrebbe cambiare, in quanto una terapia genetica nuova si è dimostrata efficace su un campione di tre bambini che ne soffrivano. Uno studio, pubblicato su Nature Medicine, ha coinvolto nove soggetti di diversa età, tre adulti sopra i trent’anni, tre adolescenti e tre bambini sotto i sei anni, tutti con forme di beta talassemia gravi e dipendenti dalle trasfusioni. In tre dei quattro pazienti più giovani si è raggiunta la totale indipendenza dalle trasfusioni di sangue, mentre nei tre pazienti adulti si è ottenuta una significativa riduzione della loro frequenza. Solo uno dei bambini trattati non ha riportato effetti positivi sul decorso della malattia. La sperimentazione è il frutto di oltre dieci anni di lavoro del gruppo di ricerca di Giuliana Ferrari, docente dell’Università Vita-Salute San Raffaele, all’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano e possibile grazie all’alleanza strategica tra IRCCS Ospedale San Raffaele, Fondazione Telethon e Orchard Therapeutics. I ricercatori hanno utilizzato una tecnica di terapia genica simile a quella già impiegata all’SR-Tiget per altre malattie rare del sangue, come la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich. Lo studio è stato svolto grazie alla sinergia tra ricercatori di base e clinici e in collaborazione tra l’Unità Operativa di Immunoematologia Pediatrica e quella di Ematologia e Trapianto di Midollo dell’Ospedale San Raffale. Lo studio si è avvalso della partecipazione di altri centri italiani esperti di talassemia e della collaborazione con associazioni dei pazienti. Il protocollo prevede innanzitutto la raccolta delle cellule staminali dal sangue periferico dei pazienti. I ricercatori hanno inserito al loro interno una copia funzionante del gene della beta-globina, utilizzando un virus della stessa famiglia dell’HIV, svuotato del suo contenuto infettivo e trasformato in vero e proprio mezzo di trasporto per la terapia. Infine le cellule staminali corrette sono state re-infuse nei pazienti direttamente nelle ossa, così da favorire il loro attecchimento nel midollo osseo. A distanza di oltre un anno dal trattamento (i soggetti adulti sono stati trattati per primi, ormai quasi 3 anni fa) la terapia risulta sicura ed efficace.
Pubblicato nel mese di Dicembre 2018