I successi ottenuti nell’ultimo decennio nella cura dei pazienti oncologici sono stati determinati dall’apporto di  importanti modificazioni in tutti i principali aspetti dell’assistenza, dall’utilizzo di indagini diagnostiche sempre più sensibili e specifiche, alla possibilità di offrire in molti casi terapie mediche “personalizzate” altamente efficaci e, non ultimo in ordine di importanza, all’opportunità di avvalersi di una vasta gamma di trattamenti di “supporto” divenuti ormai un presidio essenziale in tutte le fasi del decorso clinico della malattia.

Abbiamo chiesto all’equipe oncologica di Villa Margherita di delinearci gli attuali punti di forza nella cura dei tumori solidi e quali possano essere gli aspetti futuri in questo importante settore.

 

Professoressa Pellegrini, oggi si parla molto di farmaci cosiddetti “biologici” nel trattamento dei tumori. Qual’è il loro ruolo nella pratica clinica?
Oggi, in molti casi, possiamo utilizzare terapie cosiddette “target”, cioè farmaci diretti nei confronti di sostanze specifiche della cellula tumorale che riteniamo siano importanti nel favorire il processo di proliferazione. Si tratta di molecole biologiche che, da sole o in associazione ai chemioterapici tradizionali, hanno dimostrato di migliorare significativamente la percentuale di risposte cliniche e soprattutto di prolungare la sopravvivenza dei pazienti con diagnosi di tumore della mammella, del colon-retto, del rene, dell’ovaio e del polmone. Le terapie oncologiche moderne, volte a specifici bersagli molecolari, permettono quindi una personalizzazione della strategia terapeutica migliorandone decisamente l’efficacia e spesso riducendone gli effetti collaterali indesiderati.

 

Dottor Pellegrini, quale si può definire l’approccio corretto al paziente oncologico una volta riscontrata la diagnosi?
L’approccio multidisciplinare è ritenuto ormai un aspetto fondamentale nella gestione clinica del paziente oncologico. L’integrazione, sin dal momento della diagnosi, tra le varie competenze specialistiche (oncologo medico, anatomo-patologo, chirurgo, radiologo, radioterapista e psicologo) rappresenta la chiave di svolta nella presa in carico del singolo paziente. Strutture, sia nel pubblico che nel privato, che si avvalgono di un team multidisciplinare dedicato che si riunisce in incontri periodici, possono certamente definirsi all’avanguardia in termini di possibilità di erogare un’assistenza ottimale.

 

Professoressa, qual è il ruolo delle terapie di supporto nel panorama oncologico attuale?
Fino a pochi anni fa il termine “terapia di supporto” era generalmente riferito a quell’insieme di presidi farmacologici, soprattutto nell’ambito della terapia del dolore, che venivano impiegati nella fase terminale della malattia con finalità palliative. Oggi questo concetto è radicalmente cambiato e terapie di supporto vengono definite tutte quelle strategie, sia in fasi più precoci della malattia che in quelle avanzate, volte a migliorare la qualità di vita del paziente e spesso a permettere di continuare trattamenti specifici che un tempo non sarebbero stati possibili. In quest’ottica, la terapia di supporto comprende, ad esempio, l’utilizzo di farmaci che sostengono il midollo durante la chemioterapia, interventi di chirurgia ortopedica per il trattamento di  metastasi ossee a livello vertebrale o, ancora, posizionamento di stent nella patologia oncologica biliare o urologica.

 

Che cosa ci si può quindi aspettare nel prossimo futuro nella cura dei tumori?
Sicuramente una sempre maggiore caratterizzazione molecolare dei vari tumori e soprattutto di  markers biologici capaci di predire la risposta a trattamenti specifici. Questo permetterà non solo di utilizzare trattamenti “individuali” con il massimo beneficio ma anche di risparmiare ai nostri pazienti farmaci non efficaci e potenzialmente tossici.