Nella distribuzione dei servizi del territorio e nell’implementazione di configurazioni professionali socio-sanitarie che operano in un’ottica di prossimità, sono predominanti le figure femminili. Secondo un rapporto pubblicato dal Ministero della Salute nel 2021, emerge un’assoluta prevalenza del genere femminile tra gli operatori sanitari per un totale di 442.445 donne che lavorano con contratto a tempo indeterminato presso le strutture del SSN. La percentuale di infermiere è 77,8%, psicologhe 78,2%, personale femminile tecnico-sanitario 64% e funzioni riabilitative 81,7%. Collegato al tema della crisi del sistema emergenza-urgenza si inserisce la carenza di personale, femminile in primis, che può essere assoluta e relativa. La seconda sembra essere causata dal boarding, ovvero dal sovraffollamento che consiste nel tenere i pazienti talvolta su barelle in Pronto Soccorso, in attesa di un posto letto, comportando un notevole utilizzo di risorse operative: secondo alcuni per l’assistenza dei pazienti in boarding si arriva fino all’impiego del 30% della dotazione del team. La carenza assoluta invece è determinata da fattori come l’elevato stress psico-fisico, la carenza motivazionale degli operatori, la carenza organizzativa e soluzioni non determinate per il fine carriera.
Il concetto di medicina di genere nasce dall’idea che le differenze tra uomini e donne in termini di salute siano legate non solo alla loro caratterizzazione biologica e alla funzione riproduttiva, ma anche a fattori ambientali, sociali, culturali e relazionali definiti dal termine “genere”. L’OMS definisce il termine come il risultato di criteri costruiti su parametri sociali circa il comportamento, le azioni e i ruoli attribuiti ad un sesso e come elemento portante per la promozione della salute. Le diversità nei generi si manifestano nei comportamenti, negli stili di vita, nello stato di salute, nell’incidenza di molteplici patologie, nel ricorso ai servizi sanitari per prevenzione e nel vissuto di salute ovvero nell’atteggiamento nei confronti della malattia e nella percezione del dolore.
Inoltre introduce il concetto di “medicina di genere” definendolo come lo studio dell’influenza delle differenze biologiche e socio-economiche e culturali sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. In Italia, il 13 giugno2019, il Ministro della Salute ha approvato formalmente il Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere sul territorio nazionale firmando il decreto attuativo relativo alla Legge 3/2018. Con l’approvazione di questa legge il nostro Paese è stato il primo in Europa a formalizzare l’inserimento del concetto di “genere” in medicina, indispensabile a garantire ad ogni persona la cura migliore, rispettando le differenze e arrivando ad una effettiva “personalizzazione delle terapie”. Le donne si ammalano di più, consumano più farmaci e sono più soggette a reazioni avverse e sono svantaggiate socialmente rispetto agli uomini. Inoltre, possono presentare rispetto agli uomini, segni e sintomi diversi a seconda delle patologie ma al contempo possiedono un sistema immunitario in grado di attivare risposte immunitarie più efficaci rispetto agli uomini e sono quindi più resistenti alle infezioni.
Nei paesi occidentali, l’aspettativa di una vita sana tra uomini e donne è equivalente ovvero principalmente correlata alle conseguenze determinate da malattie croniche e scarsa qualità della vita, con un impatto anche sulla spesa sanitaria.
Secondo il Ministero della Salute a fronte di una maggiore partecipazione nel mercato del lavoro della sanità pubblica non corrisponde una maggiore rappresentanza di donne nei ruoli apicali: oggi negli ospedali è donna il 25% dei direttori di struttura semplice e solo il 19% di quella complessa. Con riferimento al settore privato, invece, la situazione è generalmente migliore rispetto al settore pubblico. I dati per il comparto farmaceutico evidenziano un miglior bilanciamento fra uomini e donne nella forza lavoro: nel 2011 il 41,8% degli occupati erano donne, nel 2021 il 43,9%. Includendo sia quadri che dirigenti l’indice Glih per le aziende del settore farmaceutico sale da 0,50 nel 2020 a 0,51 nel 2021 mostrando una leggera predominanza di leader donne. Per accelerare l’avanzamento verso una equa rappresentanza delle donne all’interno del settore sanitario, occorrerebbero alcune buone pratiche dagli attori oggetto dell’analisi quantitativa: nel quadro normativo e istituzionale, e nelle politiche per favorire l’equilibrio tra lavoro e vita familiare. Essere leader in questo settore significa fare per davvero la differenza, perché adottare misure efficaci per migliorare l’equità sanitaria ha la capacità di migliorare la vita delle persone: riesce infatti a costruire una prospettiva, per chi sta già percorrendo questa strada e per tutte quelle ragazze che vorranno farlo in futuro.