di Arianna Tarquini

Si continua a parlare di tutele e diritti della professione medica e, in particolare, della maternità delle donne medico. Nello specifico, la tutela della maternità in Italia viene negata per 44 mila donne medico convenzionate. Un esercito cdi donne che lavora giorno e notte sulle ambulanze del 118, come medico o pediatra di famiglia, specialiste ambulatoriali, nelle guardie mediche. La denuncia arriva dal Sindacato medici italiani (Smi) che sottoporrà l’argomento, insieme con altri temi all’ordine del giorno, al Ministero della Salute.

Sotto accusa è il contratto libero-professionale: infatti, mentre le attuali disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità prevedono uno specifico trattamento per i riposi giornalieri della madre lavoratrice, intendendo in unicamente i dipendenti, le donne medico convenzionate sono escluse. Così succede che, finiti i cinque mesi di maternità, non sono previste pause per l’allattamento e l’unico modo per continuare a nutrire il figlio al seno è prendere giorni o periodi di malattia.

Se poi la decisione è di restare a casa per uno o due mesi dopo la nascita, le donne medico convenzionate devono rinunciare allo stipendio in favore di chi le sostituisce. Non solo: se sono medici del 118 e vanno in ambulanza non hanno diritto a una collocazione meno pesante e di grave stress durante la gravidanza, e sono costrette a continuare con i turni di notte sui mezzi di soccorso anche con il pancione di sette mesi. Una situazione ben disegnata dai dati pubblicati quattro anni fa dall’Ordine dei medici di Roma: una donna medico su due ha un solo figlio, una su tre è single, molte rinunciano o alla professione o alla maternità. Forti le criticità anche per l’adozione e l’affido.

Se poi si parla di mobbing e delle rinunce inerenti la vita privata e familiare, tutte le difficoltà dei camici rosa italiani saltano agli occhi. Le donne medico in Italia stanno superando i loro colleghi uomini; ma il sorpasso, stando a una ricerca elaborata dall’Anaao Assomed, riguarderebbe solamente i numeri. Dall’indagine, condotta su oltre mille professionisti, in maggioranza camici rosa, emerge infatti un quadro che di rosa ha ben poco, contraddistinto da numerosi ostacoli. Per chi ha figli ci sono evidenti difficoltà di gestione quotidiana con asili pubblici inadeguati per il lavoro articolato su tre turni, e figure paterne che potrebbero aiutare molto di più; ne fa le spese il percorso professionale, data la difficoltà di aggiornamento o, per i precari, la possibilità di ottenere rinnovi contrattuali.

Una soluzione percorribile per conciliare i tempi vita-lavoro è rappresentata dal part-time mal’88,6% dei medici, pur avendone necessità, non ne fa richiesta per paura di ripercussioni sulla carriera. Proprio la carriera, per molte donne che hanno scelto la professione medica, comporta pesanti ripercussioni sulla vita privata, quali divorzi, scelte di rimanere single o comunque pesanti conflitti familiari. Per molte tali insidie rappresentano, ancor prima, un deterrente alla formazione di una famiglia, senza contare che i carichi di lavoro rendono la classe dei medici una di quelle in cui è più evidente il problema del calo della fertilità.

Le difficoltà aumentano per i camici bianchi più giovani, vittime di mobbing o di avances in quasi il 60 per cento dei casi; il precariato, in particolare, contribuisce ad accrescere questa posizione di debolezza e ricatti. Il quadro peggiora ulteriormente poi se si considerano le donne impiegate nelle specialità chirurgiche, dove l’atteggiamento discriminatorio nei confronti del genere femminile non sembra ancora superato.

A fronte di tale situazione si contrappone la richiesta di politiche a tutela della famiglia, prima ancora che della donna. Nello specifico, tra i provvedimenti concreti e fattibili che andrebbero recepiti con urgenza figurano l’ampliamento dell’accesso al part-time, la sostituzione delle assenze per maternità, la creazione di asili nido aziendali.

Pubblicato nel mese di Luglio 2018