di Arianna Tarquini

Ampia e discussa problematica del rispetto e della promozione della libertà decisionale delle persone con demenza che, solitamente, viene ricondotta, nel rapporto di cura, al cosiddetto “consenso informato”, cerchiamo di chiarirne alcuni dettagli. È bene dunque avviare un confronto al fine di definire idee e posizioni condivise dalla comunità dei neurologi, psichiatri e geriatri circa il rispetto e la promozione della volontà decisionale della persona con demenza.

Nel nostro Paese si sono rese note delle profonde diversità di pensiero e differenti modi di interpretare il senso della vita, l’idea di dignità della persona, gli eventuali limiti imposti alla sua libertà decisionale e, non da ultimo, gli eventuali limiti e confini della posizione di garanzia del medico. La passione che ha accompagnato il dibattito biologico, etico, giuridico e politico su questi temi ha generato grande confusione e semplificazioni che costituiscono una durezza nei confronti della complessità dei temi in discussione e del rispetto del pluralismo etico presente nella nostra società democratica.

Negli ultimi tempi, in tutto il mondo e nel nostro Paese, si è concretizzata una sempre maggiore attenzione al problema della competenza decisionale quando il paziente presenta una compromissione cognitiva; questa attenzione è meritoria perché si rivolge ad un problema concreto, e, purtroppo, sempre più frequente nella pratica clinica a cui è difficile, se non impossibile, dare risposte in assenza di regole e comportamenti discussi e condivisi.

Al problema si è tentato di offrire una soluzione che si basa sostanzialmente su un’unica metodologia; sono stati, al riguardo, proposti algoritmi, modi di procedere tramite cui si tenta di individuare, in modo standardizzato e riproducibile, le caratteristiche della persona non competente a decidere. L’automaticità insita in queste procedure desta però più di una perplessità; in esse si intravede, infatti, il rischio che alla persona con demenza sia facilmente negata la possibilità di essere informata e di esprimere una scelta e/o una preferenza di cui tener conto sia sul piano etico-morale che giuridico.

Di contro è esperienza clinica comune che, anche se incapace di comprendere i contenuti di un modulo standard di “consenso informato” (spesso centrati, in termini difensivi, sui rischi connessi con le specifiche scelte terapeutiche), la persona con demenza è spesso in grado di esprimere le sue scelte in maniera coerente con il suo personale stile di vita, con le sue preferenze, con i suoi valori di riferimento (morali, filosofici, politici, ecc), le sue aspettative, con l’immagine che ciascuno di noi ha il diritto di lasciare di sé e a quanto, con una parola spesso abusata, definisce la dignità (ed il significato biografico) di ogni essere umano.

Partiamo dal principio: l’autonomia decisionale della persona è ciò che fonda la liceità, sul piano etico, deontologico e giuridico (artt. 13 e 32 Cost.), di ogni trattamento sanitario e di ogni intervento nel campo della salute: ogni persona ha il diritto, in questo campo, di ricevere un’informazione completa (art. 10 della Convenzione di Oviedo e art. 33 del Codice di deontologia medica) fermo restando il suo diritto di non sapere e di scegliere liberamente in base alle sue preferenze, ai suoi valori di riferimento (religiosi, filosofici, politici, ecc.), alle sue aspettative, alle specifiche circostanze di vita ed alla sua idea di dignità (vita biografica).

Il rispetto e la promozione dell’autonomia decisionale della persona non possono essere ricondotte a ciò che, nella pratica clinica, è spesso la sottoscrizione del modulo di “consenso informato”: l’informazione (più opportunamente, la comunicazione=condividere, mettere insieme) e la manifestazione della volontà decisionale della persona sono, infatti, due processi distinti (art. 35 del Codice di deontologia medica) che richiedono tempi dedicati ed una grande capacità del medico nell’ascolto, nel sostegno, nella solidarietà e nell’autentica presa in carico della persona.

È l’autonomia della persona il modello antropologico-culturale cui deve tendere la medicina moderna e, con essa, tutti i professionisti della salute. Il professionista deve rispettare e promuovere i diritti fondamentali della persona garantiti dalla Carta Costituzionale, dalla Convenzione di Oviedo e dalla Carta europea dei diritti della persona.

La persona in quanto tale realizza la sua autonomia quando, senza costrizioni ed a fronte di una completa informazione, è libera di decidere se accettare o meno un qualunque intervento medico. Lo strumento maggiormente considerato a testimoniare tale libertà è pertanto divenuto il cosiddetto “consenso informato” che è un principio di civiltà giuridica.

In condizioni di totale e palese incapacità e quando si concreti un’imminente situazione di pericolo per la vita o la salute della persona, il medico è tenuto ad agire nell’esclusivo interesse della persona medesima; e ciò non solo a fronte della scriminante di cui all’art. 54 del Codice penale ma anche alle inequivoche indicazioni del Codice di deontologia medica (art. 36). Parimenti (art. 37 del Codice di deontologia medica), in caso di opposizione da parte del rappresentante legale al trattamento necessario e indifferibile a favore di minori o di incapaci, il medico è tenuto ad informare l’autorità giudiziaria; se vi è pericolo per la vita o grave rischio per la salute del minore e dell’incapace, il medico deve comunque procedere senza ritardo e secondo necessità alle cure indispensabili; ciò anche in forza di un presupposto etico generale che, sulla base del principio di prudenza, impone al medico una particolare attenzione nei confronti delle persone in situazione di fragilità.

La volontà della persona di aderire ad un determinato trattamento nel campo della salute non solleva, sempre e comunque, la responsabilità giuridica del medico in caso di danni derivati dalla procedura stessa. Le problematiche etiche si intrecciano, in questo campo, con quelle giuridiche ed è pertanto inevitabile considerare anche quest’ultimo aspetto. La responsabilità giuridica del medico non viene ridotta dall’autentica manifestazione di volontà della persona nel caso, ad esempio, di terapie sbagliate, inappropriate e/o controindicate.

La compromissione della consapevolezza di malattia, difficilmente misurabile, non coincide di necessità con l’incapacità di decidere autonomamente. In letteratura si ritrova quasi costantemente l’affermazione che l’autonomia decisionale della persona presuppone, necessariamente, la conservazione delle capacità cognitive e, soprattutto, la consapevolezza di malattia.

Nella persona con demenza queste capacità sono spesso compromesse: il malato non riconosce pienamente il suo stato di malattia ed ha perso definitivamente alcune capacità cognitive; la consapevolezza di malattia si riferisce comunque ad un modello che prevede il riconoscimento del proprio stato di malattia. Persone non in grado di riconoscere il proprio stato di malattia non sarebbero quindi neppure in grado di prendere decisioni autonome di accettazione o rifiuto di particolari interventi medici rivolti alla malattia stessa. L’assunto di questo ragionamento è che la persona non in grado di riconoscersi portatore delle condizioni determinate dalla malattia non è in grado di prendere decisioni riguardanti la malattia stessa.

Questa affermazione, però, confligge con la situazione dove la volontà della persona è stata espressa prima che una particolare condizione di salute si sia manifestata nella medesima e con la situazione in cui alla persona sia realmente prospettata, una situazione in tutto simile a quella che sta effettivamente sperimentando.

In relazione all’autonomia decisionale nel campo delle cure la consapevolezza di malattia necessaria si riferisce ad un qualche cosa di più complesso rispetto alla capacità di riconoscere i propri sintomi e segni. Provando a dare una definizione che risulta di necessità difficile e complessa si potrebbe affermare che la consapevolezza di malattia riguarda la capacità di confrontare le condizioni che la malattia determina con i propri valori, scelte e circostanze di vita. Ci si riferisce qui ad una capacità di evocare immagini o rappresentazioni mentali della malattia e ad un’analoga capacità di evocare immagini dei valori del paziente e delle sue circostanze di vita.

La neurobiologia ha dimostrato che le immagini mentali sono un fenomeno biologico documentabile. Il substrato biologico delle immagini mentali consiste, infatti, nell’attivazione funzionale di specifici gruppi di neuroni in risposta all’evocazione di specifiche immagini mentali. L’evocazione di immagini mentali è stata documentata anche nel processo decisionale e soprattutto si è evidenziato come l’immagine mentale si associa all’attivazione di aree cerebrali direttamente o indirettamente legate alla percezione di emozioni.

Vi sono pertanto buone ragioni per affermare che la capacità decisionale dipende fortemente da processi emozionali. La consapevolezza di malattia necessaria per l’autonomia decisionale appare allora difficilmente riducibile all’integrità di specifici domini cognitivi valutabili con i comuni test neuropsicologici. Il medico deve allora comunque innanzitutto informare la persona con demenza, adeguando l’informazione alle capacità cognitive della stessa, facendo ogni sforzo perché il paziente comunichi direttamente o indirettamente le sue preferenze. In quest’ottica il parere ad esempio dei familiari deve essere sicuramente richiesto, ma considerato secondario a quello del paziente.

Di questo difficile processo è responsabile il medico in quanto figura non solo eticamente, ma anche giuridicamente tenuta al principio di operare per il bene dell’ammalato. Si deve sempre dare e ricercare la possibilità di decidere da parte della persona con demenza e, indipendentemente dalle sue condizioni cognitive, si dovrà tenere conto delle sue scelte, anche se espresse in maniera anticipata.

Sulla base delle considerazioni sin qui avanzate è logico affermare che, al momento attuale, non è possibile stabilire criteri predefiniti in base ai quali determinare la capacità di decisione autonoma della persona con demenza. Nel caso della sperimentazione clinica in una persona con demenza è logico fare ogni sforzo per aiutarla a raggiungere il livello di comprensione necessario ad esprimere la sua volontà decisionale coinvolgendola nel processo decisionale. Un diverso atteggiamento che privilegi il giudizio di incompetenza porta a far sì che vengano a trovarsi a dare il consenso persone terze che non rappresentano giuridicamente la persona senza avere la reale garanzia che questi agiscano autenticamente nel reale interesse del paziente.

Qualora ci si trovi nella condizione di assoluta impossibilità di dare un giudizio sulle preferenze della persona con demenze, appare giustificato il ricorso al Giudice Tutelare perché la persona sia posta in amministrazione di sostegno.

Pubblicato nel mese di Luglio 2018